Poco meno di 1 anno fa, l’antitrust ha punito Samsung e Apple per la cosiddetta “obsolescenza programmata“.
Ovvero per aver indotto i loro utenti a installare nuove versioni dei sistemi operativi dei loro dispositivi in modelli vecchi (ad esempio iOS 10 sugli iPhone 6!) che, a causa dell’aggiornamento, pativano prestazioni peggiori.
In poche parole vengono forniti aggiornamenti, per dispositivi vecchi, col rischio di rallentarli rendendoli obsoleti (in termine di prestazioni).
Ma ciò vale in qualsiasi altro settore: il ciclo di vita di un apparecchio/oggetto deve essere breve e prestabilito appunto.
I prodotti diventando obsoleti o inutilizzabili fanno girare la moneta quindi il mercato.
Una definizione più rigorosa è: “svalutazione economica di un bene o di uno strumento di produzione derivante dal progresso scientifico e tecnologico che ne fa immettere continuamente sul mercato di nuovi e più sofisticati”
Ma più precisamente, cosa determinata la perdita di competitività di un prodotto?
Il superamento della sua tecnologia o del suo design, l’avvento di nuove tendenze, il cambiamento delle esigenze che esso deve soddisfare, la modifica di leggi e normative che ne regolano l’uso?
Sono diversi i fattori che rendono obsoleto un oggetto e molti di essi possono essere pilotati, cioè prestabiliti da qualcuno che ha interesse a determinare con buona precisione la durata della vita di un bene.
Ci sono anche fattori psicologici: quando usciva l’HD, si parlava già di SuperHD.
Poi 4K, 8K.
Dispositivi diventati vecchi, prima di essere immessi sul mercato.

MA COME SI SVOLGE?
Ma quali tecniche vengono utilizzate? Realizzarlo in modo scadente di proposito (ma questo potrebbe avere gravi ripercussioni sul marchio) affinchè abbia una vita breve.
Fornire un aggiornamento che ne diminuisca le prestazioni.
Dare piene funzionalità per i primi 2 anni, rendendolo tendente al deterioramento progressivo ed esponenziale al termine dei 2 anni di garanzia (rendendo costose le eventuali riparazioni).

I CASI DEL PASSATO E QUELLI RECENTI
In un documentario “La historia segreta de la obsolescencia programada” si assiste ad un ragazzo alle prese con una stampante che misteriosamente smette di funzionare; tre diverse assistenze gli consigliano di comprare un apparecchio nuovo, dato che il suo costo sarebbe di gran lunga inferiore rispetto alla riparazione. Una ricerca in rete svela però i primi piccoli segreti che hanno reso prematuramente obsoleta la macchina: un particolare chip infatti legge il numero di passaggi delle testine e dopo un quantitativo predeterminato di stampe ne causa il blocco.
Tra fine 800 e il 900 si diffusero lampadine, frigoriferi, cerniere lampo e macchine (di tutti i tipi)
Materiali resistenti, buona fabbricazione e progettazione ottimale sono state le qualità della prima fase dell’industria, che contava sulla qualità come leva di mercato.
Ma durò poco. Già negli anni 20 del secolo scorso, infatti, le imprese si accorsero che i peggiori concorrenti della loro attività erano i loro stessi prodotti che “duravano troppo” in uno scenario nel quale le fabbriche erano in grado di produrre sempre più oggetti, riducendo la quantità di lavoro umano, che è un costo, per ogni cosa fabbricata.

In generale un caso eclatante fu quello della lampadina a incandescenza.
Fu un successo quando, nei primi anni del secolo, vennero realizzate delle lampadine in grado di funzionare per 1000 ore.
Il miglioramento della qualità dei materiali e i progressi compiuti nella ricerca tecnologica portarono presto il traguardo prima a 1500, poi a 2000, fino a 2500 ore di autonomia.
Sembrava un trionfo della tecnologia, ma dal punto di vista commerciale fu un disastro.
In seguito il mercato delle lampadine (chi lo governa) impose il limite massimo delle 1000 ore, con tanto di multe e sanzioni per i produttori che realizzavano e commercializzavano lampadine con una durata superiore.
Per i collant (rivoluzionari accessori d’abbigliamento in nylon) successe la stessa cosa: quando vennero immessi sul mercato per la prima volta, erano dotati di un’incredibile resistenza.
Dopo aver passato anni a studiare soluzioni per prolungare durata e resistenza dei loro prodotti, chi produceva era costretto da nuove leggi di mercato a percorrere la strada opposta, inventando un modo per predeterminarne la morte.
Nell’America degli anni 30, ci fu addirittura chi propose di rendere obbligatoria l’obsolescenza programmata: l’imprenditore Bernard London pubblicò un saggio intitolato £Uscire dalla depressione attraverso l’obsolescenza pianificata£, in cui sosteneva che l’unica via per rivitalizzare l’economia piegata dal crollo del 1929 era incentivare i consumi.

Nel 1972, in pieno boom Gilette (rasai), Personna lanciò il suo Personna 74.
Si trattava di una lama in tungsteno ricoperta da un sottile strato di titanio.
Come lo stesso produttore descriveva nelle sue pubblicità, Personna 74 era una lama capace di durare fino a 10 volte le tradizionali lame intercambiabili.
Questo prodotto rischiò seriamente di distruggere il modello di business del mondo dei rasoi e le massacranti campagne marketing dei competitor ne sancirono la morte al fine di ristabilire i tradizionali equilibri. Una tecnologia migliore e più duratura, di fatto, veniva uccisa per garantire ricambi più frequenti in un mercato che vive di ricambi.
Tornando all’iPhone 6 nel dicembre 2017, dopo migliaia di segnalazioni da parte di possessori di iPhone 6 che vedevano rallentate del 40% le prestazioni dei propri dispositivi, Apple dovette ammettere che era a conoscenza del problema. Il motivo ufficiale era che le nuove funzioni richiedevano un grande dispendio energetico…dispositivi che, dunque, rischiavano di ritrovarsi con la batteria scarica in poco tempo. Per evitarlo, il nuovo sistema operativo provvedeva a rallentare il processore di questi dispositivi, in modo da ridurre i consumi.
Nel 2011 Kyle Wiens, amministratore delegato di iFixit, la più nota azienda che vende kit e componenti per riparare e aggiornare da sé i device, lamentava il fatto che Apple utilizzasse cacciaviti progettati appositamente per evitare che gli utenti si sostituissero da sé la batteria:

“È una forma di obsolescenza programmata. General Motors inventò l’obsolescenza programmata nel 1920. Apple, ora, sta facendo la stessa cosa”

Sullo stesso principio, del resto, si è basata l’accusa e la multa comminata a Samsung, in questo caso per le conseguenze dell’aggiornamento di Android sui dispositivi Note 4.

Ci sono ovviamente altri settori colpiti da questo fenomeno, quali quello delle cartucce per stampanti. Quelle per modelli a getto d’inchiostro, in particolare, sono dotate di un chip elettronico, programmabile, che in molti casi è impostato in modo da dare per scarica una cartuccia quando, in realtà, contiene ancora il 20% di inchiostro (cioè non vengono sfruttate sino in fondo).
La stessa Apple, è rea anche di aver inserito nei Macbook Pro e iMac Pro il processore T2.
Un portento tecnologico che migliora parecchie funzioni dei computer, ma che ha pure il vizio di bloccarli nel caso ci mettano mano degli operatori non autorizzati da Apple.
Apple, nel caso del T2, si è premurata di infilare la funzione di blocco da assistenza non autorizzata nel medesimo chip che si occupa, per dire, anche dell’elaborazione dei segnali audio-video e della sicurezza nel caricamento del sistema operativo.
C’è, poi, un’obsolescenza programmata sul versante degli sviluppatori.
Obbligarli ad aggiornare le proprie app ai nuovi sistemi operativi, forzando l’abbandono di quelli più vecchi e obbligando gli utenti ad aggiornare. Salvo accorgersi, poi, che il proprio modello non è più supportato e per continuare a utilizzare l’app occorre cambiarlo.


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